Due spettri della globalizzazione: lo strapotere dei brand, dei grandi loghi e l’omologazione culturale. […]
Seconda critica: i grandi brand si sono impossessati dell’immaginario collettivo, lo gestiscono a loro piacimento e trasformano gli individui in consumatori lobotomizzati. […]Ma, ancora una volta, conviene chiedersi: è davvero così? […] Noi pensiamo le cose peggiori dei grandi brand eppure ce ne serviamo senza nessun problema. […] È abbastanza nomale che ci appaia come un mondo sostanzialmente libero, una specie di giostra su cui saliamo quando vogliamo, scendiamo quando vogliamo, saliamo pensando Che boiata, scendiamo pensando Torno domani. Dobbiamo concludere che siamo ormai così lobotomizzati da non capire più niente? […] I fatti sono che quando comprate una scarpa della Nike pagate centomila lire per pagare il nome e cinquantamila per comprare la scarpa. […] Comprate un mondo. Gente libera che corre, quasi sempre bella, tendenzialmente elastica come Michael Jordan, comunque molto moderna. Voi in quel mondo. Con centocinquantamila lire. Se vi sembra un gesto infantile o idiota, allora pensate a questo. Andate a concerto. Beethoven. Musica di Beethoven. Avete pagato il biglietto. Cosa avete comprato? Un po’ di musica? No, un mondo. Un brand. Beethoven è un brand costruito nel tempo sulla figura di un genio sordo e ribelle, alimentato da due generazioni di musicisti romantici che ne hanno creato il mito. Da lui discende, direttamente, un brand ancora più potente: la musica classica. Un mondo. Voi non avete comprato un po’ di musica: nel prezzo c’è anche l’ingresso a una certa visione del mondo, la fiducia in una qualche dimensione spirituale dell’umano, la magia di un provvisorio ritorno al passato, la bellezza e il silenzio della sala da concerto, la gente che vi sta attorno, l’iscrizione a un club piuttosto riservato e tendenzialmente selettivo. Avete affittato un mondo. Per abitarlo. […]
Posso fare un altro esempio scomodo?L’omologazione culturale. è vero che la globalizzazione porta a un mondo monoculturale, coagulato sull’asse di una medietà tendente al basso? Probabilmente è vero. Se dovete fare un film che, assurdamente, deve piacere a tutto il pianeta (è esattamente quello che fanno a Hollywood) dovete procedere per stereotipi accessibili a tutti, dovete essere chiari fino all’idiozia, dovete parlare un linguaggio universale, dovete sintetizzare e semplificare fino all’assurdo. […] Detto questo, adesso provate a pensare. Omero. Iliade e Odissea . […] Capolavori altissimi, si dice. Lo specchio esatto di una grande civiltà. Giusto.
Ma a che prezzo? Pensateci.
Se dovete raccontare l’Uomo Greco, è chiaro che dovete innanzitutto produrlo, prendendo l’infinita varietà e ricchezza degli uomini greci e riassumendola, semplificandola, sintetizzandola in un unico modello tipico. Quel che ottenete alla fine è qualcosa di molto efficace ma irrimediabilmente riduttivo. […] La Grecia era piena di Greci che in omero non ci sono, come il mondo è pieno di gente che nei film di Hollywood non è prevista. Omero è la cultura dei vincenti, dei più, di quelli che avevano avuto successo. Rassegnatevi: Omero era gli americani. Questo non ci impedisce di considerare, a ragione, l’ Iliade un capolavoro, e l’Odissea uno dei pilastri dell’immaginario occidentale. […]
Accusare la globalizzazione di contrarre la libertà collettiva, riducendo la complessità del mondo a pochi modelli riassuntivi, è un modo di partire da premesse vere per arrivare a conclusioni false. È vero che la globalizzazione tende a muoversi in quel modo, ma non è vero che la cosa, in sé e per sé, sia da demonizzare. La storia dell’Occidente è, in definitiva, la storia di analoghe compressioni della libertà collettiva. […] E la musica classica? Il linguaggio armonico di Mozart, confrontato con quello di un polifonista fiammingo del Cinquecento, suona come una semplificazione da asilo infantile: ma senza quella assurda contrazione delle possibilità espressive, non sarebbero mai riusciti a coniare un linguaggio abbastanza semplice da parlare a tutti e abbastanza compatto da sostenere il peso di quello che avevano in mente.
(A. Baricco “Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà”, 2002)
Vi ricordiamo che gli spunti pubblicati non vogliono essere in alcun modo un indirizzo di elaborazione, ma solo uno stimolo alla riflessione.
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